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diretto da Guerrino Mattei

  

 

 arte 

 

 

 

 

ATELIER D'ALTA "MODA" A TAI DI CADORE

Giorgio De Donà

"Artista e menestrello del legno"

  Scultore originale  "a mirar l'umido cielo, con l'opra in man, cantando"

 

Giacca e cappelloAlto, longilineo, occhi azzurri, figura  e  portamento aristocratici,  lo scultore  Giorgio De Donà lo incontriamo sulla soglia del suo atelier “a mirar l'umido cielo, con l’opra in man, cantando”, per dirla con Leopardi, grande poeta recanatese, che così lo avrebbe descritto  come  nella “Quiete dopo la tempesta”.  Infatti  a metà agosto quando lo  conosciamo piove.

Siamo a Tai di Cadore, ridente centro dolomitico a pochi km da Cortina e a vista d’occhio da Pieve di Cadore, patria di Tiziano Vecellio, caposaldo della pittura del Rinascimento.

Ci fermiamo per chiedere informazioni, convinti di avere davanti un "sarto" che apre il suo atelier anche la domenica per curiosi e turisti di passaggio. Alle pareti del laboratorio giacche, cappelli, camicie, gilet, cravatte, tutto in bella mostra, con intorno ombrelli semiaperti, la cui stringa di sicura è viva e penzolante.

De Donà è un artista vecchio stampo, un cesellatore del legno che sa  usare lo scalpello con destrezza, quasi fosse forbice per modellare risvolti di colli e petti, maniche spiombanti e spalline   abilmente sostenute per coprire spalle cadenti e leggeri difetti. È  un sapiente scultore  nelle cui  mani il legno diventa docile, morbido e non restio a scalpelli e sgorbie che formano taglia e modello.

Il cirmolo, legno che corona di verde montano  tutte le Dolomiti, gli viene dall' Austria, ove è possibile commerciarlo senza regole restrittive d’ordine ambientale. Lo riduce in tavoloni che incolla  e sopra vi disegna modelli che poi propone al pubblico ben stirati, senza una grinza, con le impunture  ottenute con un chiodo per enucleare perfettamente  ogni bordatura.

Abbiamo bisogno di sapere come si arriva alla Marmolada senza ripassare per Cortina, centro  sempre più nostalgico e patetico per chi ha perduto ricchezza e status. Ci indica la strada che aggira le montagne, facendoci vedere sulla carta che tutto si  svolge nel giro di qualche ora e che dal cielo, volando in elicottero, sembra quasi di chiudere in pugno una manciata di trucioli verdi.

Un crocefisso alla parete, “selvaggiamente”  annunciato con alcuni apporti intuitivamente mastreggiati, pende a monito: la natura  ha predisposto la forma,  l’artista la vivifica con l' ingegno.

Il nostro lavoro e il suo hanno in comune l’arte: lui mostra le  opere, noi analizziamo il  talento. 

"Una  persona prestante come lei, che può fare da guida alpina, perché ha scelto di essere scultore?"

"Ogni giorno aspetto che una mia creatura cammini. Parlo con queste opere di legno e le esorto ad andare per il mondo al posto mio. Sogno! e nel frattempo le aggiorno all'ultima moda. Nel mio atelier  si trova tutto per un viaggio protetto: ombrelli, bastoni, pastrani, giacche e questi solidi cappelli a cui mancano soltanto stelle alpine vere. Questo mi sembra un buon motivo e un'insostituibile scelta."

Spiana un sorriso e ci invita a sfogliare un catalogo di opere vendute,  soprattutto in Germania ove ha i maggiori estimatori. 

Non è certamente  falegname in attesa di un legnaccio per fare un burattino che gli tenga compagnia. De Donà non si annoia, è amareggiato soltanto al pensiero che per utilità pubblica gli hanno espropriato la casa, poco più a valle, e ora deve piantare radici da un’altra parte. Per il momento l’unico rifugio sicuro è lo studio poco più avanti della galleria, nel quale crea sapientemente tutta la sua sartoria per soddisfare una clientela sempre più esigente e pretenziosa.

Ha fatto della sua vita artistica, iniziata fin da fanciullo con un coltellino e qualche rimasuglio di legno, un continuoCamicia e cravatta addestramento alla ricerca del bello e della verità. La verità, come diciamo noi, è dentro le cose e lui con sensibilità  la disvela.

La voglia di fare i critici riusciamo a reprimerla volentieri nello studio di questo nuovo amico,  nel quale siamo giunti per caso senza essere chiamati,  con la promessa d' incontrarci ancora a Tai di Cadore. 

Ci scambiamo in segno d’amicizia e di doveroso rispetto  una calorosa stretta di mano, mentre quel crocefisso appartato, non più di scena, ci fa arrivare benedicente un messaggio: andate in pace, la messa è finita.

 

Guerrino Mattei