Una
bottiglia di barbera, un paio di scarpette
da tennis e quattro bocce in borsa
sono questi gli attrezzi che servono per
misurasi giocando con i
propri amici. Qualche sfottimento e un buon
bicchiere al termine di ogni partita mette
allegria e fa buon sangue. E non sono
soltanto pensionati che entrano in campo, ma
ragazze, donne e anche qualche reverendo
ansioso di comunicare
con gli altri, portando, perché no,
la buona novella a coloro che spesso, proprio
per l’aggressività del gioco, ammanniscono
a fior di labbra santi e madonne.
Tutte le mode sono mode. Ma cosa
certa è che vivere all’aria aperta
a contatto con la natura, mentre sulla testa
stormiscono foglie di populus alba varietà
nigra o pampini di uva a tendone, è
sicuramente salute senza la nocività del
fumo che aleggia
cercando sfogo nel libero cielo. Nel
Sud, cioè a Roma, città ove tutto inneggia
al fatuo e alle antiche vestigia, nei
salotti bene si gioca a Burraco. Al tavolo
siedono scrittori, nobildonne, ingegneri,
mignotte, commercianti, militari, banchieri e
bancari:
insomma tutti, purché malati di cartismo. In
genere giocano le signore con un ricco assegno
divorzile e gli uomini con conti in banca e
barche alla fonda che accentuano il
prestigio, nelle cui sentine l’acqua è
putrida come le apparenze che ostentano. Si
gioca dalla sera sin dopo il tocco, cioè
mezzanotte passata, fra un complimento e un
altro che gli avventori rivolgono al padrone
di casa elogiando
la bellezza dei mobili e
l’accuratezza dell'accoglienza, timorosi di
offendere i preziosi tappeti che in mancanza
di umanità riscaldano l’ambiente.
Dire che il gioco è stupido sarebbe
riduttivo e offenderebbe tutti coloro che lo
praticano in maniera più o meno
decoubertiniana con la voglia di vincere
un euro. Per soldi? No, per passione!
Si parla di “pinelle”, di “jolly”,
di “mazzetti” e soprattutto di regole
con una severità che stizzirebbe anche la
migliore corte giudicante. Fortunatamente
non si suda e le mani mollicce dei giocatori
non lasciano impronte oleose sulle carte
francesi. In alcuni tavoli si procede in
silenzio, in altri si parla piano e in
alcuni si smadonna come se il fair play fosse
d’obbligo soltanto in pubblico per salvare
la faccia. Il censo? Vanno tutti bene purché
soddisfino la libidine del gioco e con
puntualità si presentino al tavolo verde
compunti e con il trucco le signore,
simili a facciate di cattedrali antiche da
poco restaurate. Decadenza? Macché!
Se si avesse il senso del pudore si
capirebbe che in una fascia d’età in cui
si può essere ancora utili, senza troppi
rimestii ghiandolari,
si potrebbero frequentare gli
ospedali, gli orfanatrofi e fare opere
buone. Attenzione! Tutti hanno un bambino
adottato a distanza e quelli che sfoggiano
la servitù
si fregiano del giglio del
benefattore in quanto fanno lavorare le
persone:
filippini, africani ed extra
comunitari
sottopagati.
I giocatori sono compassati in attesa del
break per le tartine o due dolcetti che
interrompano la tensione. Nei loro volti
c’è la paura non tanto della sconfitta ma
del tempo che ormai ha segnato
inesorabilmente la loro vita in declino
senza più appetiti o voglie
dalle facili concessioni. Una moda
dalle mani macchiate a cui non bastano le
creme per togliere la fatiscenza
e l’invecchiamento irreversibili a
cui tutti
vanno incontro. Spesso sono mani rugose,
flaccide, dalla pelle di tartaruga che
stringono le carte con malvagità,
come se la partita con la vita continuasse
ancora. Quante delusioni in quei tagli
d’occhi dall’antico splendore o in quei telefonini sui quali in modo schizofrenico si cerca la
giustificazione ad una solitudine divenuta imperante, prepotente come l’arroganza che
l’ ha nutrita. Amano tanto i figli…,
quando invece l’egoismo e la mancanza di
amore, quest'ultimo
improntato
alla carità cristiana, hanno fatto naufragare
ciò che credevano dovuto a loro
per status. Al fallimento del matrimonio la
maggior parte adduce le scuse più banali
che subito affogano
in un bicchiere d’alcool
trangugiato
o in sigarette fumate con il bocchino
lungo per rendere l’agonia
più distante.
E’ inutile dire come funziona il
gioco, ma la stessa parola Burraco non si
ammanta certamente di aristocraticità
facendo pensare, e forse sarebbe necessario,
che il tutto venisse condizionato ai dettami
di "Ultimo tango a Parigi", ove il burro era
necessario per un buon fine. Ma può darsi
che fare l’amore liberando ogni
istintiva intimità sia passato di
moda? Che essere normali sia un difetto?
Bah! Meglio non pensarci, tanto ognuno va
per la sua strada senza resipiscenza, carico
del suo odio per il mondo e pieno di livore
per le cose andate bene agli altri. Una
scala in sequenza
con un due (pinella) a chiusura dopo
sei carte è un “burraco sporco”, mentre
con un due che viene dopo il tre dello
stesso seme è un “burraco pulito”.
Ai due eventi si attribuisce un
punteggio diverso che differenzia anche le
ambizioni di vittoria. E così via fino alla
mattina, con l’augurio che nessuno manchi
per il giorno dopo in un’altra dimora,
nella quale si ripete la fiera
dell’effimero a discapito
dell’intelligenza.
Gioco a Burraco anch’io ed anch’
io ho le mani macchiate sulle quali nessuna
crema compie il miracolo, ma ho la certezza
che praticare le bocce sia meglio, sia più
vivo, più da figlio della terra a contatto
con esseri veri, con il
sudore che esclude ogni profumo
artificioso. Chi ha provato ad abbracciare
una partener dopo la sospirata vittoria e
dopo che questa, più o meno allusivamente,
ha retto in mano per delle ore un paio di
palle da gioco sente la gioia del contatto, l’odore
vero della cute, il sudore della vittoria e
l’abbandono ad un’ amicizia che si fa
carne e
non s’intristisce nell’attesa di
un due
che non viene
o di una carta che ti preclude la
chiusura. A volte penso che fuori c’è il
sole e son spuntate le viole, per dirla con
il poeta, ma mi consola di più il pensiero
di Paul Valery: “Quando s’alza il vento
dell’amore abbiamo tutti il diritto di
ricominciare a vivere e sperare!”. Chissà
che questo gioco dal nome negletto non sia
per alcuni l’olio santo che lenisce la
morte? Quando posso raccolgo ancora viole
con il vento dell’amore: io
esorcizzo la vecchiaia così!
Guerrino
Mattei
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