Se c’è una cosa che accomuna tutti i romani, nessuno
escluso, è un affetto incondizionato per la propria città,
un attaccamento viscerale che riesce a far digerire anche i
difetti più terribili di una città flemmatica e frenetica al
tempo stesso.
Crogiuolo di etnie e popolazioni diverse sin dai tempi della
sua fondazione, Roma ha sempre visto arrivare molta più
gente di quanta la abbandonasse per cercare fortuna altrove.
Ancora oggi, dopo migliaia di anni, è difficile dare una
definizione esatta di cosa sia la “romanità”, e trovare un
romano da più di due generazioni è operazione più che ardua,
tanto è dinamico il tessuto sociale della città. In fondo
Roma, al pari delle altre metropoli mondiali, è il risultato
di un’immigrazione ciclica che ne ha plasmato l’anima e la
geografia urbana. La mostra “Rhome-Sguardi e memorie
migranti”, dal 12 febbraiio e fino al 30 marzo 2014 al Museo
di Roma Palazzo Braschi, si propone esattamente di
riflettere sulle storie dei tanti migranti che arricchiscono
la capitale e del loro rapporto con la città, accostando
alle splendide fotografie dei volti di 34 migranti quelle
dei luoghi a loro più cari della città eterna. “Qual è un
luogo di Roma che non dimenticherai mai e che porterai con
te anche se dovessi andare a vivere altrove?”.
A questa domanda viene chiesto di rispondere a persone
provenienti da tutti i continenti, che hanno raggiunto roma
per le ragioni più diverse e per ragioni ancora più diverse
decidono di lasciarla o rimanerci. Dal più ovvio Colosseo al
Quarticciolo, i migranti scelgono il luogo del cuore
raccontando frammenti importanti delle loro esperienze di
vita come nuovi abitanti di Roma. C’è chi ci vive da più di
30 anni e chi l’ha appena raggiunta, chi la sta lasciando e
chi fa progetti importanti.
La curatrice Claudia Pecoraro sceglie sapientemente storie
anche molto diverse tra loro, a sottolineare la grande
varietà umana incorniciata negli scatti di dodici differenti
fotografi.
L’esposizione è un’importante occasione per riflettere tanto
sulla ricchezza che queste persone hanno portato nella
capitale,
quanto sulla fortuna di vivere in una città che è per molti
sinonimo di speranza di un futuro migliore.
Matteo Lozzi
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