Recensione mostra
La Trinacria, ovvero la Sicilia come la videro Fenici e
Greci, oggi rivive nelle opere musive di Ausilia Patanč in
mostra al Palazzo Comunale di Aci Castello di
Catania. Nei suoi impianti l’artista etnea ripercorre
memorie antiche, esplicitate con un figurativo moderno,
profondamente meditato, cromaticamente vissuto e ricercato.
Conchiglie, abbandoni di scarti edili, residui di
piastrelle smaltate, vetri colorati, pezzi di specchi e
altre cose spurie la conducono l'artista verso l’opera pensata,
distesa sopra spezzoni di lastre laviche, quasi sempre
geometricamente rifilate, che i marmisti forniscono
volentieri a questa poliedrica mosaicatrice come supporto a
ciň che poi da rifiuto iniziale vive nel tempo quale opera
contemporanea, appesa o incastonata entro mura domestiche o
pareti museali.
Per ogni artista si trova una parentela con il passato, una
certificazione “anagrafica” che non lo renda figlio di padre
ignoto. Per la Patanč la vera madrina potrebbe essere
l’americana Louise Nevelson, la quale soleva dire nel
secolo passato ai suoi estimatori: “La bellezza delle cose
che ho visto dalla mia finestra di Manhattan, poi raccolte e
fissate nelle mie strutturazioni, non avevano nulla da
invidiare a quanto mi offriva Parigi dai suoi tetti”.
Abbiamo scritto piů volte in passato di questa bella e
singolare ricercatrice che manipola la materia in disuso per
creare nuove forme, articolate con forte personalitŕ per
renderle dinamicamente proiettive verso immaginazioni in
divenire, ancorate all’unicum da cui le tessere
provengono.
Assemblati con un’insospettabile maestria i suoi lavori sono
composizioni che ripercorrono attraverso il mosaico la storia dell’umanitŕ a cui
le medesime appartengono.
Definita dalla critica essenzialmente “l’artista dei
frammenti”, nelle sue realizzazioni presenti in mostre
personali e collettive nazionali, il collante che tiene
unite le idee e la moderna figurazione dalle quali prende
forma ogni opera č l’amore con cui le struttura non
lasciando nulla al caso, anche quando alcune tessere sembrano restie ad ogni
collocazione.
Ausilia non le richiama entro
una irreggimentazione giŕ prestabilita, ma le controlla tenute a bada dal colore e dalla
luce, che continuamente annunciano e vitalizzano ogni suo
impianto.
Esteticamente ben realizzate, sferzate dal colore
amorevolmente come altrettanto fa il mare e il vento della
terra in cui Verga ambientň “I Malavoglia”, queste creazioni
sono pervase da ancestralitŕ antiche, che sfiorano il sogno
e favoleggiano immagini squisitamente tessute e raccontate.
Arte difficile senza dubbio questa della Patanč che andrebbe affidata a mani
robuste, adatte a scapezzare la pietra o a frazionare lastre
per poi ricavarne le tessere necessarie per le composizioni
ideate.
I frammenti studiati e selezionati da questa ciclopica artista annunciano in
ordine sparso, prima ancora di essere assemblati, composizioni
poetiche, concepite e artisticamente create.
Guerrino Mattei
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