È un ciclo di lavori realizzati tra il 2010 e il 2011,
composti da 27 olii e 34 opere su carta ed esposti in
numerosi Paesi tra l’America e l’Europa ed hanno sostato
anche a Palermo prima di approdare nella capitale, nei quali
emerge tutta la tematica presente in Botero fin dalla sua
infanzia e gioventù in Colombia, immersa nell’abbondanza
d’immagini religiose, tanto nell’ambito pubblico che in
quello privato.
L’opera dell’artista, che ha abituato da oltre sessant’anni
il suo pubblico ad immagini rubiconde ove l’abbondanza di
forme e la monoliticità figurale nulla tolgono alla
armonica poeticità del narrato, offre molteplici livelli di
lettura. La sua creatività è un’interpretazione sempre
amplificativa, mai semplicemente imitativa, di alcuni dei
protagonisti dell’arte occidentale.
Certo è che dopo la morte di Balthus, sublime nella sua
astrattezza anoressica e un po’ morbosa, il mondo florido e
opulento del pittore e scultore Fernando Botero è l’unico
capace di rispecchiare in maniera grottesca e metaforica
certe caratteristiche dell’ipertrofica società
contemporanea. L’artista per riempire grandi isole di colore
dilata la forma, cosicché uomini e paesaggi acquistano
dimensioni insolite, apparentemente irreali, dove il
dettaglio diventa la massima espressione e i grandi volumi
rimangono indisturbati. I personaggi del sudamericano
apparentemente “non provano gioia né dolore”, hanno lo
sguardo perso nel vuoto e sono immobili, quasi fossero
rappresentazioni pietrificate.
“Botero ha costruito sempre mondi sensuali, popolati da
esseri colmi di un piacere immenso e felice - si legge nella
presentazione - attraverso quell’abbondanza tranquilla e
suntuosa delle forme che trova la sua maturità verso la fine
degli anni ’70”. C’è qui un crocevia nel quale i ricordi
della sua città, del suo Paese, vengono attraversati
fortemente da pratiche religiose profondamente radicate
nella propria cultura e iconografia.
Le dolci sembianze, le idee e le forme che sembrano così
stabili, vengono attraversate da quello sconvolgimento in
cui dolore e tragedia si plasmano, impiegando il linguaggio
figurativo che caratterizza l’artista colombiano senza
abbandonare il suo particolare sguardo deformante.
Un artista è attratto da alcuni tipi di forme senza saperne
il motivo. “Prima adotto una posizione per istinto - scrive
nei suoi appunti - e solo in un secondo tempo cerco di
razionalizzarla o anche di giustificarla”.
Si
dovrebbe considerare queste opere in rassegna, nelle
quali il drammatico fa la propria incursione, come una nuova
dimostrazione in cui si identificano trasformazioni interne
che arricchiscono e amplificano il suo lavoro. Il tono
ironico viene sostituito dal compassionevole per riflettere
intorno alla poesia e al dramma, all’intensità e alla
crudeltà della Passione di Cristo.
Nato nell’aprile del 1932, questa mostra è arrivata al
cuore di Medellín, città natale di Botero, durante la
settimana di Pasqua del 2012, per i festeggiamenti per gli
80 anni di vita dell’artista. Il pittore ha deciso di donare
la serie al Museo di Antioquia che, da quel momento, si
occupa del suo viaggio per il mondo.
Guerrino
Mattei
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