FactaNet
diretto
da Guerrino Mattei
eventi
GARGANO - LE VIE DELLA MINIERA
LA BAUXITE DI SAN GIOVANNI ROTONDO
Omaggio a “i diavoli
rossi”
La sofferenza di un
popolo si manifesta scavando dove lo stesso ha vissuto.
Nella dismessa miniera di bauxite di San Giovanni
Rotondo, nel Gargano, la terra in superficie è ancora
rossa e i ricordi della gente del posto che ha veduto i
propri genitori lavorarvi è vivo e drammaticamente
raccontato. Il convegno “Le vie della miniera”
organizzato nel 2014 da esperti e studiosi del
patrimonio archeologico industriale del Gargano, è stato
il primo tentativo in Puglia e unico nel Mezzogiorno di
mettere in rete i siti minerari di bauxite, e realizzare
un percorso di memoria, tutela e valorizzazione delle
miniere.
In località Quadrone, comunemente nota come
“Montecatini” dal nome della società milanese che la
gestiva, si aprì nel 1937 la miniera di estrazione della
bauxite, e la storia della città per 40 anni fu
strettamente legata a questa attività.
Si entrò nelle viscere della terra lavorando su tre
turni di otto ore, impegnando i minatori notte e giorno
senza intervallo, privati spesso dei dispositivi di
sicurezza e tutela della salute. Il materiale veniva
portato con i camion a Manfredonia e avviato via mare al
porto di Marghera per passarlo alla trasformazione. Per
tutto il periodo di attività, la miniera fu uno dei
centri estrattivi più importanti d’Italia.
|
Nelle adiacenze venne costruito il villaggio dei minatori,
oggi completamente vandalizzato, ove restano poche tracce
della scuola, mensa, uffici ed abitazioni di cui “i diavoli
rossi” potevano usufruire. Di primaria necessità furono le
docce, che si osservano a decine lungo le uscite dalle
gallerie: a fine turno davano un aspetto umano a quelle
persone che ingerivano polvere rossa, si coprivano di
polvere rossa e morivano di polvere rossa.
La morte era sempre in agguato, ma la silicosi e tutte le
malattie collaterali erano sistematicamente ignorate. Fino
alla chiusura avvenuta nel 1973, si erano contati 27 morti,
la maggior parte per crolli e alluvioni. Per lavorare nelle
gallerie, spesso sovrapposte su tre livelli che scendevano
fino a duecento metri di profondità, si assumevano anche i
giovanissimi, purché forti, che venivano dispensati dal
servizio militare.
Il sindacalista Giuseppe Di Vittorio, pugliese, ingaggiò
battaglie senza risultati per rendere la vita dei minatori
più sicura. Da alcune sue esternazioni di fronte alla
passiva reazione delle maestranze, si comprende che “il
nemico maggiore dei minatori sono i minatori stessi e le
famiglie di cui sono il motore, le quali solo così possono
mandare i figli a scuola ed avere quel tanto di sicurezza
economica che permette loro la continuità e la sopravvivenza
fisica”.
A distanza di anni, dopo una meticolosa depredazione di
tutti i materiali e le strutture in ferro e in rame,
soprattutto cavi elettrici e funi d’acciaio, della miniera
rimangono soltanto i cunicoli e qualche marcescente
impalcatura che ancora si sorregge.
I nomi dei minatori periti sono ricordati nella cittadina di
San Pio in un monumento nella villa adiacente la chiesa di
Sant’Onofrio. La storia di questi “martiri” del lavoro è
stata ricostruita nel documentario “Polvere rossa”,
realizzato dal giornalista pugliese Maurizio Tardio.
Attualmente, speleologi e ambientalisti del posto tentano di
riqualificare l’area con visite didattiche e soprattutto con
la creazione di un allestimento museale che dia la
possibilità al visitatore di conoscere, attraverso archivi e
filmati d’epoca, ciò che avveniva nel ventre della terra
con mazza, picco e muli addestrati al trasporto.
Guerrino Mattei
|
|
|
|