Da un’idea di Antonello Avallone “In nome del papa re" si trasferisce dal grande schermo al
palcoscenico. Un omaggio a Roma, alla romanità, a Luigi Magni
e al rimpianto Sergio Fiorentini, il cui ruolo è qui
affettuosamente rivestito da Pippo Franco.
Chi meglio di Avallone poteva portare sul palcoscenico Gigi
Magni. La sua collaborazione con il grande autore e cineasta
ha prodotto la versione teatrale di “Nell'anno del
Signore" e poi di "Secondo Ponzio Pilato".
Questo che si recita sulle tavole del Teatro dell'Angelo
è uno dei più grandi capolavori di Magni, da lui
scritto e diretto nel 1977, secondo film di una trilogia che
vide protagonista la Roma papalina del XIX secolo.
Il
lavoro non incontrò un'unanime consenso di critica a causa
di una parte di giornalisti che lo ritennero un po’ troppo
caustico nei confronti della Chiesa.
Magni, scambiato spesso
per anticlericale, si è sempre difeso rispondendo: “Hanno
equivocato fra clero e potere temporale, io ho avuto sempre
un ottimo rapporto con i preti”.
Il film si aggiudicò,
comunque, nel 1978, cinque David di Donatello, tra cui
miglior film, miglior sceneggiatura e miglior scenografia.
Grande fu il successo di pubblico, che lo trovò emozionante,
commovente, comico, proprio per la capacità dell’autore di
raccontare le storie serie con ironia.
Gli attori tutti barvi incondizionatamente da Antonello
Avallone a Pippo Franco, riportati uno per uno in locandina.
Come mi sembra giusto non amiamo associarli al ruolo che
rivestono nella pièce, perché vederli ed applaudirli è un
piacere senza nessun annuncio che ne anticipi volto e
bravura. Sono giovani, belli e pieni di voglia di fare e di
affermarsi sotto gli insegnamenti di un attore consumato e
democratico che li cresce come creature e con le quali il
tempo è messo a profitto come se fossero "altrettanti figli
talentuosi da portare avanti, nessuno escluso".
Alcuni di loro già si sono avviati al doppiaggio ed hanno
esperienza cinematografica che non guasta nella fucina
del teatro, per vedere di che tempra è fatto il carattere e
quanta adamantinità si ha dentro per continuare ad amare e
soffrire fra polvere del palcoscenico e soddisfazione per
gli applausi che, quando meritati, giungono a scena
aperta all'insegna della continuità e del rapporto attore
spettatore in continuo divenire.
La maschera e la giovialità di Pippo Franco, nel ruolo che
era di Sergio Fiorentini, quello del perpetuo con tanto
cuore ma "che non conta un cazzo!", è trainante per far sì
che nella tragedia sarcasmo e parodia accendano nel parterre applausi e sorrisi.
Lo spettacolo è sicuramente da non perdere e da vedere con
la nostalgia di una Roma papalina che nei costumi della
"rossa" Red ha l'alone di una signora ove tutto è
finito non per opera dei garibaldini che entravano a Roma (siamo a
ridosso degli anni della Breccia di Porta Pia), ma perché
ormai è tutto
finito: per questo Garibaldi entrerà facendo finire uno
Stato clericale per un sogno democratico a misura di popolo.
La storia nel tempo poi dirà che forse le cose sono andate diversamente. Ma quanto vediamo ed applaudiamo ci piace
viverlo e sognarlo così!
Guerrino Mattei
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