Per
questa Arancia meccanica
di scena al Teatro Eliseo di
Roma non si tratta di un
adattamento qualsiasi del
romanzo (titolo originale A
Clockwork Orange/Un’arancia a
orologeria) consegnato alle
stampe nel 1962 o del celebre
film che nel ’71 ne ricavò
Stanley Kubrick, ma del vero e
proprio testo teatrale che, a
partire dal suo libro, Burgess
scrisse nel ’90 per la Royal
Shakespeare Company.
Fugando paragoni improponibili,
Gabriele
Russo si allontana dalle
suggestioni kubrickiane,
consegnate alla notorietà
universale ed alla storia del
cinema, per “ritrovare intatta –
sottolinea il regista - quella
necessità di Burgess nel
proporre argomenti dai toni
forti, capaci di scuotere le
coscienze e suscitare domande
legittime sulle possibilità di
reagire, nel nostro tempo, alla
violenza, gratuita o
scientemente programmata”.
Recenti fatti di cronaca, nera
ed italiana, collegano
immediatamente i protagonisti
dell’opera al nostro presente,
suscitando emozioni e reazioni
contrastanti. A distanza di
oltre cinquant'anni dalla sua
stesura, ci si rende conto di
quanto l’autore avesse saputo
guardare oltre il suo tempo
presagendo, attraverso la storia
violenta di
Alex
(Daniele Russo) e
dei suoi amici
Drughi
(Sebastiano Gavasso e Alessio
Piazza) una
società sempre più incline al
controllo delle coscienze e
all'indottrinamento verso un
"pensiero unico”: crudele
epilogo cui viene destinato il
protagonista, sottoposto alla
castrazione chimica ed al
condizionamento psicologico.
Nella prima parte l’azione,
ambientata in un futuro non
lontano e in una qualsiasi
possibile grande città, descrive
i crimini di Alex e della sua
banda di giovani teppisti. Nella
seconda parte lo spietato e
incosciente protagonista,
condannato a 14 anni per
omicidio, accetta di sottoporsi
a un esperimento di pseudo
riabilitazione in base al quale
gli vengono instillate reazioni
di insormontabile disgusto
fisico ogniqualvolta sorgano in
lui stimoli di violenza o anche
solo di libidini, annullando
completamente il suo libero
arbitrio.
Il lavoro è molto bello e drammaticamente forte. Alcune volte il linguaggio quasi criptato sfugge allo spettatore ma non sfuggono i continui rimandi alla condizione umana e all'asservimento della volontà attraverso la violenza e il male gratuito.
Un'ora e mezza das vedere e vivere tutta d'un fiato, con pochi applausi e molti trasalimenti. certamente la rwalizzazione teatrale era impensabile così composta e minimalisticamente articolata. La bravura degli artisti, tutti indistintamente, e la sapiente regia alla fine nettamente sciolgono il nodo gordiano della perplessità in un tributo di applausi più che meritati.
Guerrino Mattei