L’atto unico del celebre drammaturgo agrigentino è diretto e
interpretato da Gabriele Lavia, il quale anima sapientemente
una imponente scenografia,
dove luci ed effetti sonori piombano in sincrono a conferire
ritmo al dialogo a due voci fra l’uomo divorato dal suo
epitelioma e il pacifico avventore.
L’azione anziché svolgersi
in un bar di
provincia, secondo le didascalie di Pirandello, è ambientata in una suggestiva sala d’attesa
di una stazione ferroviaria,
dove casualmente s’incontrano i due personaggi.
Uno (Michele Demaria) ha perso il treno, l'altro, non
riuscendo a stare in casa, va in giro, infastidito da una
donna (Barbara Alesse)
che non si dà pace e lo insegue a distanza, comparendo di
tanto in tanto al di là delle vetrate della stazione, quasi
come un fantasma.
È la morte, oppure sua moglie? Quale che sia la sua identità
si tratta di un destino dell’uomo dal fiore in bocca che è
il destino dell’intera umanità, ossia per dirla con
Schopenhauer, citato fin alle prime battute, dell’”essere
come animale metafisico” che sa di dovere morire senza
sapere il motivo per cui ha vissuto.
Eppure, in un’alternanza di tagliente ironia e di commozione,
di tenerezza e di folle crudeltà,
la vita, i suoi paradossi, i conflitti con le donne, la
ricerca incessante di un proprio ruolo che vada oltre ogni
maschera, restano irrinunciabili. I dettagli futili,
simboleggiati in venti pacchetti regalo che l’avventore
porta con sé, sono l’emblema della speranza di trovare un
appiglio alla realtà della vita, oltre la morte che travolge
ogni cosa.
Roberta Daniele
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